Social media come prova in giudizio

15 feb 2024
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I social media sono entrati nei procedimenti giudiziari, essendo degli strumenti per condividere e comunicare molto diffusi nella vita quotidiana, così come SMS, whatapp e mail, di cui ho scritto in passato.

In particolare, dunque, nel diritto di famiglia, vengono prodotte prove estratte da Facebook, Instagram, TikTok e Twitter al fine di dimostrare l’autonomia economica del coniuge o del figlio, l’infedeltà coniugale, il tenore di vita.

Lo screenshot costituisce la modalità più idonea perchè consente di apprendere il contenuto nella sua interezza: oltre alla fotografia, al video e al testo, il social network nel quale sono stati pubblicati, le condivisioni, i tag, la geolocalizzazione.

La giurisprudenza ammette che siano prodotti screenshot, così come la stampa di pagine web, equiparandoli a riproduzioni meccaniche, ex art. 2712 c.c, che costituiscono piena prova di ciò che è oggetto di riproduzione, salvo il disconoscimento da parte di colui contro cui vengono prodotte. Attenzione, però, che il disconoscimento delle riproduzioni meccaniche non impedisce al giudice di accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.

Con la riforma Cartabia, inoltre, a tutela dei minori, il Giudice ha acquisito maggiori poteri istruttori, anche prescindendo dalle allegazioni delle parti e dai limiti di ammissibilità previsti dal codice civile.

Questo desta delle perplessità, a maggior ragione nel delicato ambito del diritto di famiglia.

Non si può, infatti, non considerare la suggestività di ciò che si trova sui social, usati spesso per edulcorare la realtà, ovvero per dare una versione che non è rappresentativa dei fatti e delle cose reali. A ciò si aggiungono i veloci progressi della realtà tecnologica: dalla modificabilità di tutto ciò che si trova sul web all’utilizzo dell’intelligenza artificiale per produrre immagini false.

Altro rischio è quello di decontestualizzare i contenuti presenti sui social media.

Riguardo, invece, all’annoso problema della tutela alla privacy, in ambito civile non esiste una norma come in ambito penale che vieta l’utilizzo delle prove illegittimamente acquisite (tra cui quelle in violazione della riservatezza). Il giudice civile, dunque, dovrà contemperare i diversi diritti in gioco, tenendo conto che tra il diritto alla riservatezza e il diritto di difesa, prevale quest’ultimo, a maggior ragione se l’accertamento della verità oggettiva riguarda diritti fondamentali, tra cui quelli a tutela dei minori.

Per quanto riguarda i social media, la giurisprudenza di merito ha valutato che, sebbene l’accesso ai contenuti sui social sia limitato secondo le impostazioni date dal singolo utente, si deve ritenere che ciò che viene pubblicato non possa essere considerato riservato in quanto destinato ad essere conosciuto da terzi, anche se limitatamente alla cerchia delle amicizie. Diversamente vale per il servizio di messaggistica quali le cd. chat private, che sono equiparabili alle forme di corrispondenza privata.

Nella produzione di tali prove, l’avvocato deve prestare attenzione anche a minimizzare il trattamento, che significa avere l’accortezza di offuscare tutto ciò che non riguarda il procedimento giudiziario (ad es. il volto di soggetti non coinvolti) e di limitare la produzione di documenti rispetto allo scopo probatorio.

Altra questione è la pubblicazione sui social di immagini dei figli, di cui ho scritto in un precedente articolo.