Separazione e divorzio in un unica domanda
Con la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 4311 del 16 ottobre 2023, è possibile proporre ricorso congiunto chiedendo insieme separazione e divorzio.
Si è dovuto attendere la sentenza perchè la riforma Cartabia prevedeva espressamente il cumulo delle domande solo in caso di procedimento contenzioso, ex art. 473 bis 49, per cui si erano create delle diversità di applicazione nei diversi Tribunali, con conseguente disparità di trattamento per i cittadini. A Genova, Milano, Vercelli, Lamezia Terme i coniugi potevano richiedere insieme separazione e divorzio nei procedimenti consensuali, mentre a Padova, Firenze e Bari non era possibile.
Tralasciando di riportare le articolate motivazioni, per le quali vi rimando al testo della sentenza, ritengo importanti alcuni passaggi del ragionamento.
Innanzitutto, la Corte richiama la ratio della Riforma, ben evidenziata nelle note illustrative: il risparmio di energia processuale, a cui sono strettamente connesse anche la necessità del coordinamento tra separazione e divorzio e la loro contemporanea trattazione.
In questo ambito, è necessario e importante “regolare lo sviluppo in progressione” della medesima crisi familiare, proprio per garantire una più efficace tutela giurisdizionale dei diritti, così come previsto dall’art. 24 della Cost.
Se il risparmio di energie serve nei procedimenti contenziosi perchè non dovrebbe servire anche nei procedimenti consensuali?
La Corte sottolinea, a riguardo, che “trovare per le parti, a fronte della irreversibilità della crisi matrimoniale, in un’unica sede, un accordo complessivo sia sulle condizioni di separazione che sulle condizioni di divorzio, concentrando in un unico ricorso l’esito della negoziazione delle modalità di gestione complessiva di tale crisi, disciplinando una volta per tutte i rapporti economici e patrimoniali tra loro e i rapporti tra ciascuno di essi e i figli minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti, realizza indubbiamente un risparmio di energie processuali”.
Con il cumulo, infatti, il Tribunale, all’esito positivo della domanda di separazione, emessa la sentenza che dovrà essere trasmessa all’ufficiale dello stato civile, provvederà a rimettere la causa dinnanzi al giudice relatore, perchè fissi udienza per acquisire la volontà delle parti a non volersi riconciliare e la loro conferma sulle condizioni del divorzio già indicate.
Diversamente, infatti, le parti devono riaprire un procedimento di divorzio, una volta trascorso il tempo dei sei mesi, con una nuova domanda e con le conseguenti incombenze a questa legate.
Altra questione molto dibattuta riguardava il principio dell’indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, per il quale nel nostro paese sono nulli i patti stipulati in vista del divorzio (art.160 c.c.) per cui sono ritenuti invalidi gli accordi sul divorzio presi in sede di separazione (Cass. 20745/22).
Su questo la Corte ha risposto in modo articolato, che riassumo in questo passaggio per me rilevante: “si tratta unicamente di proposte in funzione di una pronuncia di divorzio per la quale non è ancora decorso il termine di legge e il cumulo non incide sul c.d. carattere indisponibile dei patti futuri, trattandosi di un accordo, unitario, dei coniugi sull’intero assetto delle condizioni, che regolamenteranno oltre alla crisi anche la loro vita futura, pur sempre sottoposto al complessivo vaglio del Tribunale”.
Rimane, infatti, il potere del giudice di rigettare la domanda, se ritiene che gli accordi siano in contrasto con gli interessi dei figli, così come le parti possono chiedere una modifica dell’accordo sul divorzio se intervengono dei mutamenti di circostanze che incidono sull’accordo stesso.
La Corte, inoltre, parla di una “caduta” del dogma dell’indisponibilità degli status, con l’incremento dell’autonomia negoziale dei coniugi a regolare le conseguenze economiche della loro crisi, con le recenti riforme in materia di negoziazione assistita, di divorzio breve e con l’ultima Riforma Cartabia.
Come avvocata di diritto di famiglia e delle relazioni, accolgo con favore questa decisione.
Innanzitutto, fa chiarezza e conseguentemente rende applicabile il diritto in modo emogeneo in tutto il territorio italiano.
Inoltre, come avvocata negoziatrice nell’ambito della Pratica Collaborativa, ma non solo, credo che bisogna restituire ai coniugi il valore del loro ruolo di protagonisti nelle scelte che li riguardano e che riguardano i loro figli. A questo è importante che segua anche per gli avvocati il riappropriarsi del loro ruolo sociale, ovvero quello di tutelare non tanto i fini egoistici della propria parte ma gli interessi di tutte le parti e in particolare dei figli, al fine di preservare le loro relazioni.
In ambito familiare, gli accordi sono complessi perchè non riguardano solo questioni di diritto di dare e avere ma anche il coinvolgimento emotivo e relazionale. A maggior ragione, dunque, le parti devono essere accompagnate in un percorso che procede per step, anche nel concordare quelle che saranno le le condizioni che definiranno non solo il loro passato ma anche il loro futuro.
Ha ragione, dunque, la Corte, quando evidenzia l’importanza di ottimizzare i tempi e non appesantire con troppe formalità un momento già carico emotivamente, evidenziando che gli accordi non servono solo per regolare la crisi, ma soprattutto la vita futura dei coniugi e dei loro figli, che anche dopo la separazione e il divorzio, rimangono una famiglia.