Scelta religiosa e figli

2 ott 2019
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La recente sentenza della Corte di Cassazione (n.21916 del 2019) ritorna ad affrontare la questione sull’educazione dei figli in ambito di fede religiosa.

Il caso è quello di un dissidio tra i genitori separati che vogliono trasmettere ai figli un’educazione religiosa diversa (cattolica e geovista).

La legge prevede che in caso di conflitto il giudice possa adottare i provvedimenti che siano necessari a tutelare il migliore interesse dei minori a un sereno sviluppo psicofisico. E’, dunque, fondamentale che la scelta del giudice sia basata su una motivazione oggettiva, perchè non venga leso il diritto alla libertà religiosa del genitore, ma venga solo limitato, garantendo al tempo stesso un altro principio fondamentale, ovvero quello alla bigenitorialità.

In passato, la giurisprudenza ha spesso deciso in modo discriminatorio, privilegiando la religione cattolica, in qualità di fede maggioritaria nel nostro paese, ma con l’introduzione dell’affidamento condiviso l’orientamento è cambiato in ragione del superiore interesse del minore coinvolto.

La valutazione dell’impatto che la fede religiosa del genitore può avere sul benessere del figlio è necessario che sia effettuata tramite l’ausilio di esperti (consulenti tecnici o servizi sociali) e anche, se possibile, con l’ascolto del minore stesso. E’ richiesto, dunque, un giudizio prognostico sulle capacità dei genitori di crescere ed educare i figli nella nuova situazione di genitore singolo, da esprimersi sulla base di elementi concreti attinenti a quel genitore e a quel figlio, senza generalizzare.

Questo orientamento segue anche la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che ha più volte ribadito il principio secondo il quale la libertà di educare i figli alla propria fede religiosa rientra tra le libertà e i diritti garantiti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (sentenza Hoffman c. Austria del 1993, Palau-Martinez c. Francia del 2003, Vojnity c. Ungheria del 2013).

Quando ci sono dei minori, il credo religioso dei genitori può avere rilevanza solo se esso è pregiudizievole per la loro crescita fisica e psicologica: solo in questo caso la tutela della libertà di fede dell’adulto viene messa in secondo piano rispetto al supremo interesse del minore (es. la questione della trasfusione di sangue non permessa dai Testimoni di Geova).

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha rinviato alla Corte d’Appello perchè decida nuovamente sulla questione nell’unico modo possibile: accertando in concreto quali sono e se ci sono delle conseguenze pregiudizievoli nel scegliere una religione piuttosto che un’altra, basandosi sull’osservazione e sull’ascolto del minore. E’ possibile, dunque, far cambiare al figlio l’orientamento religioso, solo se non gli crea pregiudizio e a seguito del suo ascolto.

In precedenza la stessa Corte (Cass. civ. 12954 del 2018) aveva inibito ad un genitore di portare la figlia alle riunioni di culto della religione di appartenenza, sulla base di una perizia psicologica che aveva rilevato il pregiudizio per la bambina nei modi con cui il padre intendeva convincerla a seguire il proprio credo (vientandole di partecipare agli incontri di religione cattolica nella quale fino a quel momento era stata educata e che condivideva con le sue amiche).

In altra sentenza (Cass. civ. 14728 del 2016) si escludeva che il cambio di fede religiosa da parte di uno dei due genitori fosse motivo sufficiente a giustificare l’affidamento esclusivo all’altro genitore, essendo stato accertato dai Servizi Sociali che entrambi i genitori, al di là delle loro convinzioni religiose diverse, erano legati ai figli e capaci di accudirli nella quotidianità.

Interessante anche la sentenza della Corte d’Appello di Milano (21 febbraio 2011), nella quale veniva permesso al bambino di continuare il percorso per il battesimo, così come da lui stesso desiderato, indipendentemente dalla scelta atea fatta in precedenza dai genitori.