PER IL DIVORZIO IL TENORE DI VITA NON CONTA

12 mag 2017
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La Corte di Cassazione del 10 maggio 2017, n.11504, cambia rotta dopo circa 27 anni: il tenore di vita durante il matrimonio non vale più come parametro per determinare se un ex coniuge ha diritto o meno all’assegno di mantenimento.

L’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno di divorzio “non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento dell’indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione- esclusivamente – assistenziale dell’assegno divorzile”

Nella sentenza, che molto farà discutere, i giudici chiariscono che il parametro del tenore di vita induce, inevitabilmente ma inammissibilmente, una indebita commistione tra le due fasi del giudizio e i relativi accertamenti: la fase della determinazione del diritto o meno all’assegno e la seconda fase della quantificazione dell’assegno.

Nella prima fase (an debeatur), il giudice deve accertare se l’ex coniuge è economicamente indipendente o è effettivamente in grado di esserlo. L’accertamento attiene, dunque, esclusivamente alla persona della parte richiedente l’assegno come singolo individuo, cioè senza riferimento al preesistente rapporto matrimoniale (ovvero al tenore di vita), altrimenti collide con la natura stessa del divorzio, ovvero l’estinzione del rapporto matrimoniale.

In questa prima fase, la parte richiedente l’assegno deve dimostrare la sua mancanza di autosufficienza e, quindi, l’inadeguatezza dei mezzi, secondo i seguenti indici:

1. possesso di redditi di qualsiasi specie;

2. possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, tenuto conto dei relativi oneri

3. la capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione a salute, età, sesso e al mercato del lavoro;

4. la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Solo se dopo questa prima fase il giudice ritiene che l’ex coniuge abbia diritto all’assegno, si procede con la seconda fase di quantificazione dell’assegno, per la quale è legittimo procedere ad un giudizio comparativo tra le rispettive posizioni personali ed economico-patrimoniali degli ex coniugi. Solo questa fase, dunque, è informata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato verso l’altro più debole. I criteri sono quelli indicati dall’art.5, comma 6, della legge sul divorzio (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo economico e personale alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e comune, reddito, durata del matrimonio).

La Corte evidenzia come ormai il contesto sociale italiano sia maturo a questo cambiamento, in quanto è generalmente condiviso il significato di matrimonio come atto dissolubile, e come influisca il contesto giuridico europeo, che riconosce il principio dell’autoresponsabilità degli ex coniugi e il diritto di rifarsi una nuova vita. Il divorzio è, dunque, “ frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l’accettazione da parte di ciascuno dei coniugi (…) delle relative conseguenze anche economiche” e non può diventare di ostacolo, con l’assegno, alla costruzione di una nuova vita, tra cui la formazione di una nuova famiglia.