NOVITA’ per l’assegno di divorzio
La recentissima sentenza della Corte di Cassazione del 17 dicembre 2020, n. 28995, apre una nuova discussione in merito all’assegno di divorzio (che ha appena compiuto 50 anni): se la nuova convivenza di fatto estigua in modo automatico l’assegno di divorzio oppure siano necessarie delle valutazioni del caso concreto. Sulla base di questo quesito la Corte ha deciso di rimettere gli atti al Primo Presidente della Corte stessa per l’eventuale assegnazione alla Sezioni Unite.
IL CASO: il tribunale di primo grado dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra Anna e Marco, ponendo a carico di quest’ultimo un assegno di divorzio, oltre al contributo per il mantenimento dei figli. Marco fa ricorso alla Corte d’Appello, la quale riforma la sentenza di primo grado rilevando che Anna non ha diritto all’assegno di divorzio perchè ha instaurato una stabile convivenza con un nuovo compagno, da cui ha avuto anche una figlia.
Anna fa ricorso alla Corte di Cassazione sostenendo che l’automatismo del venir meno dell’assegno di divorzio riguarda solo il caso di nuove nozze (ex art.5, comma 10, legge sul divorzio) e non quello della stabile convivenza di fatto. Ella fa presente che in 9 anni di matrimonio aveva rinunciato ad un’attività professionale per dedicarsi ai figli, anche dopo la separazione, mentre il marito aveva potuto applicarsi completamente alla propria attività lavorativa portando la propria azianda ad avere un fatturato consideravole anche all’estero.
La Cassazione ritiene che, nel disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali, il principio di autoresponsabilità, utilizzato dalle famose sentenze del 2017 e del 2018, non possa operare solo per il futuro, ma anche per il tempo passato, ovvero in quei presupposti secondo i quali l’assegno divorzile ha una funzione compensativa.
Esclusa, dunque, la funzione assistenziale dell’assegno, rimane la funzione compensativa, ovvero quella “finalizzata a riconoscere all’ex-coniuge, economicamente più debole, un livello reddituale adeguato al contributo fornito all’interno della disciolta comunione, nella formazione del patrimonio della famiglia o di quello personale dell’altro coniuge”.
In sostanza, l’assegno di divorzio non è dovuto solo perchè l’ex coniuge è più debole ma anche in ragione del contributo che egli o ella ha apportato alla famiglia e all’altro coniuge.
La Corte aggiunge che, dunque, il principio di autoresponsabilità “merita una differente declinazione più vicina alle ragioni della concreta fattispecie ed in cui si combinano la creazione di nuovi modelli di vita con la conservazione di pregresse posizioni, in quanto, entrambi, esito di consapevoli ed autonome scelte della persona”.
E’, quindi, opportuno che la funzione assistenziale dell’assegno finisca, quando l’ex coniuge sceglie di costruirsi una nuova famiglia, ma senza svalutare le scelte che lo stesso coniuge aveva fatto in seno alla precedente famiglia.
Spetta al giudice di merito accertare nel caso concreto l’esistenza o meno dei presupposti per riconoscere un assegno di divorzio, nella sua funzione compensativa.
Ricorda, inoltre, la Corte che l’assegno di divorzio è uno strumento ben diverso dall’assegno di mantenimento in sede di separazione (legato strettamente al pregresso tenore di vita, ragion per cui la nuova convivenza ne esclude la sopravvivenza), così come dagli alimenti (con una funzione esclusivamente assistenziale), riconosciuti al convivente più debole in caso di cessazione della convivenza.
Come osservato dal prof. Carlo Rimini, in un suo recente articolo, il nostro diritto è vecchio se un ex coniuge non può rifarsi una nuova vita senza perdere la giusta compensazione per ciò che ha fatto a favore della famiglia. Egli ritiene che la normativa italiana sia ancora legata alla funzione assistenziale dell’assegno di divorzio e che questo non abbia senso, in quanto l’ex coniuge, più che l’assistenza, cerca un riconoscimento per i sacrifici che ha fatto nell’interesse della famiglia, permettendo all’altro conige di crescere professionalmente.
In quest’ottica, dunque, le relazioni sentimentali successive al divorzio non dovrebbero avere alcuna rilevanza.
Attendiamo di capire come le Sezione Unite faranno luce sul punto.