Indisponibilità dei diritti e contesto culturale

10 mag 2016
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I diritti fondamentali di uguaglianza morale e  giuridica tra i coniugi  e di partecipazione paritaria nella conduzione delle famiglia non possono essere messi in secondo piano rispetto ad alcune consuetudini, tutt’ora presenti in alcune aree sociali.

Nel caso di specie, la Cass. civ., sez. VI, n. 8094 del 2015, ha cassato la sentenza della Corte d’appello di Venezia, in quanto quest’ultima aveva giustificato i comportamenti maschilisti del marito nei confronti della moglie e della gestione della famiglia, in quanto inquadrabili nell’ambito di quel potere assoluto, noto nelle campagne padane e implicitamente accettato in famiglia.

La famiglia, dunque, non si configura più come luogo di compressione dei diritti e delle libertà irrinunciabili di ogni singolo individuo. La famiglia deve, invece, essere il luogo di autorealizzazione e di crescita, nel rispetto reciproco. Nella famiglia ciascun componente conserva le sue connotazioni e riceve riconoscimento e tutela, prima di tutto come persona, garantendo un costante equilibrio tra esigenze individuali e familiari.

Ne consegue che, in merito all’addebito della separazione, la tolleranza del coniuge che subisce la lesione dei propri diritti non può escludere di per sé il nesso di causalità. Una tale condotta, giustificata spesso dalla volontà di garantire l’unità familiare, non basta a rendere disponibili diritti che disponibili non sono.

Dunque, se una condotta lesiva di diritti inviolabili in precedenza tollerati è stata la causa dell’intollerabilità della convivenza, la separazione sarà addebitabile a chi ha messo in atto tale condotta. A nulla varranno giustificazioni legate agli usi e costumi sociali, così come a regole che appartengono ad un sistema di valori condiviso dalla coppia.