Il ruolo dell’avvocato

10 feb 2017
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Nel proprio lavoro l’avvocato deve rispettare le regole deontologiche e in ambito di famiglia è particolarmente importante nel caso in cui siano coinvolti dei minori.

A riguardo segnalo la sentenza del Tribunale di Milano, sez. IX, 23 marzo 2016, nella quale il giudice estensore sottolinea il ruolo dell’avvocato nel processo e la funzione sociale dello stesso prevista dal nuovo ordinamento professionale.

Partendo proprio dalla funzione sociale dell’Avvocatura, l’ordinanza sottolinea come l’avvocato svolga un servizio di pubblica necessità (“è esso stesso parte del servizio pubblico di Giustizia”), operando all’interno dell’ordinamento forense, la cui primaria funzione è quella di “garantire la tutela degli interessi individuali e collettivi” (art.1 legge 247/2012), nel rispetto dei principi della Costituzione, dell’Ordinamento dell’Unione Europea e delle Convenzioni Internazionali, quale la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

L’avvocato, dunque, oltre alla doverosa rappresentanza e difesa degli interessi del proprio cliente, deve farsi carico anche degli “interessi altri”, che nell’ambito di famiglia sono quelli del minore.

Nel diritto di famiglia i figli non sono mai la parte avversaria, né per l’attore né per il convenuto, né per un genitore né per l’altro. I figli sono la parte neutrale e la parte debole da proteggere e tutelare.

Sempre nel nuovo codice deontologico, che ha dato più attenzione al diritto di famiglia, oltre al divieto di assistere un coniuge contro l’altro se in precedenza si abbia assistito entrambi congiuntamente (art.68, 4 comma), sono previste una serie di precauzioni nei riguardi dei minori in ambito civile: l’obbligo dell’avvocato di assicurare l’anonimato del minore (art. 18 comma 2 e art.57 comma 2); il divieto di ascolto del minore senza il consenso dei genitori e sempre che non sussista conflitto di interessi con gli stessi (art.56 comma 1); il divieto di avere colloqui o contatti con il minore quando assiste uno dei genitori (art.56 comma2); l’obbligo di non assumere la difesa di un genitore dopo aver assistito il minore in una controversia famigliare (art. 68 comma 5).

Nell’ordinanza del Tribunale di Milano si conclude, dunque, sostenendo che “quando l’Avvocato stipula il contratto di patrocinio con un genitore, per assisterlo in un procedimento minorile in cui sono coinvolti i figli, di fatto perviene alla conclusione di un contratto “ad effetti protettivi verso terzi” ove terzi sono i figli” .

In questo modo si assegna all’avvocato un dovere più ampio, quello di proteggere l’interesse del minore:l’Avvocato deve sempre anteporre l’interesse primario del minore e, in virtù di esso, arginare la micro-conflittualità genitoriale, scoraggiare litigi strumentali al mero scontro moglie-marito, proteggere il bambino dalle conseguenze dannose della lite”.

Presupponendo che questo dovere è di entrambi i difensori dei genitori, questi devono assumere una posizione comune a difesa del bambino, arginando i diverbi tra i genitori fondati su situazioni prive di rilevanza e dovute esclusivamente ad una conflittualità patologica.

Dalla mia esperienza, ci tengo ad aggiungere che gli avvocati dei genitori devono aiutare i propri clienti a riappropriarsi della propria genitorialità, ovvero a perseguire quelli che solo loro sanno essere i bisogni dei loro figli, in un momento in cui sono sopraffatti dalla rabbia, dal dolore e dalla paura per la fine della propria relazione con l’altro genitore. L’avvocato deve mettere in campo le sue competenze professionali per comprendere gli stati d’animo del cliente, allo scopo non di assecondarlo nelle sue posizioni contro l’altro genitore ma per aiutarlo a comunicare i reali bisogni e interessi propri e dei figli. Solo attraverso i bisogni e gli interessi, lasciando da parte le posizioni giustificate dalla rabbia, dal dolore e dalla paura, si può raggiungere un accordo nell’interesse di tutti e in primis dei figli.

Come si può comprendere, non bastano le conoscenze giuridiche, che pure fanno da cornice, ma sono necessarie anche altre competenze di tipo sociologico, psicologico, relazionale. Nell’ambito familiare, dunque, oltre al diritto, ci sono anche altri strumenti per risolvere la conflittualità, quali la mediazione familiare, la negoziazione assistita e la pratica collaborativa . Questi sono strumenti stragiudiziali, perché solo al di fuori del processo ci sono i tempi e i modi di esplorare i reali interessi delle parti e farli diventare un accordo duraturo nell’interesse e nella tutela dei figli.