Il mantenimento del maggiorenne non è per sempre

27 ago 2021
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Torno a parlare di assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne, in quanto lo scorso luglio la Cassazione (Cass. Civ. 2.7.2021 n. 18785) ha confermato l’orientamento secondo il quale si deve escludere l’assegno di mantenimento se il figlio maggiorenne si rifiuti ingiustificatamente di proseguire gli studi e di cercare un’occupazione lavorativa.

IL CASO. Il padre fa reclamo in Corte d’Appello in quanto il Tribunale ordinario di Messina non aveva revocato l’assegno di mantenimento per la figlia, nonostante la scarsa propensione di quest’ultima allo studio e il suo rifiuto a proseguire l’attività commerciale che il padre stesso e lo zio le avevano prospettato, mettendole a disposizione anche un locale. La Corte d’Appello accoglie il reclamo e la madre propone ricorso in Cassazione sostenendo che non era stato verificato se la figlia avesse le concrete condizioni di essere economicamente autosufficiente.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso ritenendo che l’età della ragazza (ventisei anni all’epoca del procedimento di appello), l’inerzia colpevole della stessa (desunta dal rifiuto dell’offerta di lavoro del padre) e la mancanza di un progetto formativo fossero circostanze sufficienti a negare l’assegno alla figlia.

Riguardo al progetto formativo, la Corte precisa che è vero che esso deve tener conto delle capacità, inclinazioni ed aspirazioni del figlio, ma bisogna anche considerare la funzione educativa del mantenimento, per la quale l’obbligo a mantenere un figlio deve essere circoscritto, sia in termini di contenuto che in termini di durata.

In conclusione, scrive la Corte, “deve escludersi che l’assegno di mantenimento persegua una funzione assistenziale incondizionata dei figli maggiorenni disoccupati, di contenuto e durata illimitata”.

Così come già indicato da precedenti pronunce (Cass. 5088/2018 e Cass. 12952/2016), la valutazione delle circostanze che fanno cessare l’assegno di mantenimento deve essere fatta in concreto, caso per caso, tenendo conto non solo della mancanza di indipendenza economica ma anche di altri fattori:

- l’età del figlio,

- l’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica,

- l’impegno rivolto alla ricerca di un lavoro

- la complessiva condotta tenuta dal figlio.

Oltre a questi aspetti è opportuno tener conto anche della mancanza di ragioni individuali specifiche, quali di salute, o dovute ad altre contingenze personali.

Come avevo scritto un anno fa, sempre la Corte di Cassazione (n.17183/2020) aveva messo ulteriori paletti all’assegno di mantenimento, precisando che con la maggiore età si acquista la piena capacità di agire e di esprimere anche il proprio voto, per cui anche la cd. capacità lavorativa, ovvero l’essere adeguati a svolgere un lavoro remunerato, salvo la prova di circostanze che giustificano il permanere del diritto al mantenimento. L’età matura, scriveva la Corte, è “quell’età in cui si cessa di essere ragazzi e di accettare istruzioni ed indicazioni parentali per le proprie scelte di vita, anche minuta e quotidiana, e si diventa uomini e donne”.

Sembra, dunque, finita l’epoca del “diritto ad ogni possibile diritto”, mentre si fanno strada altri principi quali quelli dell’autoresponsabilità e del dovere. Se da una parte il diritto al mantenimento non può dunque durare all’infinito, dall’altra la pretesa dei diritti va di pari passo all’adempimento dei doveri.

I figli hanno, infatti, anche dei doveri verso i genitori, così come previsto dell’art. 315bis del codice civile: il dovere di rispettare i genitori e di contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finchè convive con essa.