Il divorzio compie 50 anni

1 dic 2020
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La legge sul divorzio compie 50 anni oggi, 1 dicembre 2020. Nel 1970 fu una conquista importante, soprattutto per le donne, e  venne riconfermato dalla maggioranza degli italiani con il referendum del 1974.

Il divorzio sancisce la cessazione civile dell’unione matrimoniale. Sostanzialmente solo con il divorzio i coniugi riacquistano lo status di liberi, ovvero di ex-coniugi.

Le recenti novità dal punto di vista formale sono:

-          Dal 2014 i coniugi possono divorziare legalmente su domanda congiunta davanti al sindaco, purchè non abbiano figli minori o incapaci o portatori di handicap o non economicamente autosufficienti; diversamente possono comunque optare per la negoziazione assistita senza che sia necessaria la loro comparizione avanti al Tribunale;

-          Nel 2015 si è ridotto ad un anno in caso di separazione giudiziale e a 6 mesi in caso di separazione consensuale il tempo necessario per poter chiedere divorzio (inizialmente era 5 anni, poi nel 1987 è passato a 3 anni).

La novità sostanziale che ha fatto molto discutere in questi ultimi tre anni è quella relativa all’assegno di divorzio: quando è dovuto e quanto è dovuto.

Per quasi trent’anni la giurisprudenza era pacifica sul punto: l’assegno di divorzio ha una funzione assistenziale per cui è dovuto ogni qualvolta il coniuge debole non abbia mezzi sufficienti a garantire un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Nella pratica, gli assegni di mantenimento in sede di separazione venivano riconfermati in sede di divorzio, se le condizioni rimanevano le stesse.

Con la Cassazione civile del 2017 si cambia rotta: il tenore di vita non vale più come parametro per determinare se il coniuge abbia diritto o meno all’assegno, perché con il divorzio il matrimonio è cessato. Secondo la Corte, dunque, la valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge debole deve avvenire secondo il principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, come persona singola. Di conseguenza, in una prima fase il giudice deve accertare se l’ex coniuge è in grado con le sue sole possibilità di mantenersi e solo nel caso in cui non lo sia si passa alla seconda fase, ovvero alla quantificazione dell’assegno secondo il principio della solidarietà economica.

In particolare, nella sentenza si mette in evidenza come il contesto sociale italiano sia maturo a questo cambiamento, in quanto è generalmente condiviso il significato di matrimonio quale atto dissolubile, ovvero il concetto che nulla è per sempre. Inoltre, molto importante è stata anche l’influenza del contesto internazionale ed europeo sul riconoscimento del principio dell’autoresponsabilità e del diritto a rifarsi una nuova vita, una volta cessato il matrimonio.

Successivamente, però, nel 2018 intervengono le Sezioni Unite, che hanno ricondotto la questione ai principi di pari dignità e di solidarietà, oltre che di autoresponsabilità e di libertà, riconoscendo all’assegno non solo una funzione puramente assistenziale ma anche perequativa-compensativa.

Cosa vuol dire funzione perequativa- compensativa? Significa che l’accertamento sull’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarseli della parte debole non può essere una valutazione fatta in modo astratto secondo parametri uguali per tutti, ma deve tener conto del contesto. Il giudice, dunque, dovrà considerare in concreto se la parte debole ha un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, alla formazione del patrimonio comune e di quello di ciascun coniuge, in particolare tenendo conto delle sue aspettative professionali sacrificate, della durata del matrimonio e della sua età. E’ vero, dunque, che la funzione equilibratrice del reddito non deve essere finalizzata a ricostruire il tenore di vita matrimoniale, ma non può non tener conto del contributo che ciascun coniuge ha dato alla vita familiare.

Ad esempio, la situazione economico-patrimoniale della signora di 60 anni, che in 20/30 anni di matrimonio ha dedicato la propria vita alla famiglia e ai figli, sacrificando le proprie aspettative professionali scegliendo di lavorare part-time o di fare la casalinga e agevolando la carriera del marito, non può essere valutata allo stesso modo di quella della signora di 35 anni, sposata da 5, con una laurea e un’occupazione lavorativa full time e senza figli.

Questi recenti orientamenti giurisprudenziali, anche sollecitati dai più generali mutamenti sociali ed economici degli ultimi anni, hanno sollevato la discussione anche a livello parlamentare e chissà se nel prossimo futuro il legislatore interverrà sulla normativa in modo che i criteri di determinazione dell’assegno di divorzio siano più precisi e si eviti al coniuge debole l’ingiusto impoverimento e degrado sociale ma anche l’indebito arricchimento a scapito dell’altra parte.