Il diritto di famiglia marocchino

6 giu 2013
fatina

Mi è capitato di studiare il diritto di famiglia marocchino per una cliente marocchina residente qui in Italia da diversi anni.

Il Regolamento Europeo n. 1259/2010, detto Roma III, entrato in vigore il 21.6.2012, prevede, infatti, che la legge applicabile alla separazione e al divorzio, in mancanza di scelta da parte dei coniugi, può essere: quella dello Stato di residenza abituale dei coniugi, in mancanza quella dello Stato dell’ultima residenza abituale, in mancanza quella dello Stato della cittadinanza comune ed in mancanza quella dello Stato in cui è adita l’autorità giurisdizionale. E questo regolamento ha valore universale, ovvero la legge designata dal regolamento è applicabile anche ove non sia quella di uno Stato membro partecipante.

La legge marocchina di riferimento è il nuovo codice di famiglia entrato in vigore l’8 marzo 2004 con la Legge n.70 del 2003, la cd. Mudawwana. Tra le novità del codice ci sono: la responsabilità della famiglia è condivisa tra uomo e donna, la donna può chiedere il divorzio liberamente, il matrimonio poligamico è sottoposto a limiti, e il ripudio può essere esercitato solo giudiziariamente.

Innanzitutto, nel diritto marocchino non è prevista la separazione, ma direttamente il divorzio, consensuale o giudiziale. Questo comporta che se il coniuge che agisce per primo lo fa con un ricorso per separazione, la sentenza di separazione non produrrà effetti in Marocco, ovvero non potrà essere trascritta e l’altro coniuge potrà instaurare, anche successivamente, un procedimento di divorzio. Se, invece, viene instaurato prima in Italia un procedimento di divorzio, questo avrà la precedenza su un’eventuale procedimento di divorzio in Marocco e la relativa sentenza potrà essere trascritta in Marocco.

A parte questa questione, è importante capire anche quale legge tutela meglio la mia cliente, in qualità di moglie, e soprattutto i figli (minori di 18 anni).

Riguardo, quindi, agli effetti del divorzio sui figli, la legge prevede che la custodia (Hadana, ovvero la protezione del minore da ciò che può essergli pregiudizievole, l’istruirlo e il vegliare sui suoi interessi) spetta in primo luogo alla madre, poi al padre (art.171). Il minore, che abbia compiuto i 15 anni, può scegliere chi debba esercitare la custodia (art.166).

Il padre, comunque, ha il dovere di vigilare con cura all’istruzione e all’orientamento scolastico del bambino sottoposto alla custodia della madre, presso la quale il bambino deve “passare la notte”. Il genitore che non esercita la custodia ha il diritto di visitare il figlio e di ricevere sue visite (art.180).

Dal lato economico, il padre è obbligato al mantenimento (art.198 e art.189: cibo, abbigliamento, cure mediche, istruzione e quanto indispensabile), oltre a dover garantire ai figli un luogo di abitazione, o la somma per la locazione, e le spese per l’abitazione (art.168). Inoltre, è a carico del padre la retribuzione dovuta per la custodia e le spese ad essa relative, a favore della madre (art.167).

Per determinare la somma dell’assegno di mantenimento si tiene conto della media del reddito del padre, dello stato del minore (ovvero delle sue condizioni di vita e della situazione scolastica di cui godeva prima del divorzio), del livello dei prezzi, degli usi e delle consuetudini dell’ambiente in cui vive il minore.

La rappresentanza legale del minore, garantita mediante tutela (Wilaya), spetta, invece,  al padre, mentre alla madre solo in caso di morte, scomparsa e decadenza del padre (art.238). Il rappresentante legale gestisce l’ordinaria amministrazione dei beni del minore e veglia sull’orientamento religioso, sulla formazione e preparazione alla vita (art.235). Da queste norme sembrerebbe che l’unico titolare della potestà sui figli sia il padre, ma in realtà nella prassi si predilige disporre una responsabilità congiunta (simile all’affido condiviso), in virtù dell’equiparazione tra uomo e donna che è alla base del nuovo codice.

Comunque, per i minori è sempre prevista la supervisione del Tribunale, che garantisce la tutela dell’interesse del minore.

Riguardo, invece, alla donna, il diritto marocchino non prevede alcun assegno di mantenimento in suo favore, salvo che per il periodo legale (di circa tre mesi), durante il quale è anche assicurata la possibilità di stare nella casa coniugale o di avere una somma per la locazione.

Alla coniuge sono invece dovuti la dote (posticipata) e il dono di consolazione. Quest’ultimo è una somma una tantum determinata in funzione alla durata del matrimonio e alla situazione finanziaria del coniuge. Nel caso di divorzio per danno, il giudice decide anche sull’importo a titolo di risarcimento danno per il pregiudizio subito (art.101).

Per approfondire consiglio il libro: <i>“Il codice di famiglia in Marocco” di Kaoutar Badrane, ed. libreriauniversitaria.it, nel quale è riportata anche la legge tradotta in italiano.