DIRITTO ALLE ORIGINI: UNO SPIRAGLIO

4 feb 2014
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La Corte Costituzionale del 22 novembre 2013 n.278 apre uno spiraglio sul diritto dell’abbandonato e dell’adottato a conoscere le proprie origini rispetto all’anonimato materno.

Per la prima volta la Consulta, infatti, dichiara l’incostituzionalità dell’art.28, comma 7, L. n. 184/1983 “nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata (….) – su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione”.

L’Italia era stata condannata da parte della Corte di Strasburgo (caso Godelli del 25 settembre 2012) per la rigida protezione dell’anonimato materno a discapito dell’interesse dell’adottato a conoscere le proprie origini, in violazione dell’art.8 della Convenzione Europea sul diritto al rispetto della vita privata e familiare. Nella sentenza si evidenziava la mancanza di un bilanciamento corretto tra il diritto della madre e quello del figlio. Non veniva, infatti, rispettato il criterio di proporzionalità, ovvero di comprimere nel minor modo possibile il diritto fondamentale dell’adottato a conoscere le proprie origini.

In seguito a questa condanna, la Corte Costituzionale non poteva decidere, così come nel passato, rigettando la richiesta di incostituzionalità.

Questa volta la Consulta ha evidenziato come l’anonimato sia legittimo per impedire l’insorgenza di una “genitorialità giuridica”, salvaguardando quindi madre e figlio da qualsiasi perturbamento che possa generare pericoli per la salute della madre e del bambino e garantendo le migliori condizioni possibili per la nascita. Ma non appare ragionevole che tale scelta sia irreversibile.

L’irreversibilità del segreto deve essere rimossa, in quanto in contrasto con l’art.2 e 3 della Costituzione.

Una scelta avvenuta nel passato non può risultare necessariamente e definitivamente preclusiva anche nel presente. Con il tempo le decisioni possono essere modificate, in quanto cambiate possono essere le persone, le condizioni e le motivazioni.

In seguito alla richiesta del figlio, la legge non può, quindi, porsi come ostacolo a conoscere l’effettiva mutata volontà della madre sul versante della “genitorialità naturale”, così come non può impedire che da questo si creino dei rapporti.

A questo punto, la Corte Costituzionale passa la palla al legislatore, il quale ha il compito di stabilire le regole dirette a soddisfare le esigenze di segretezza della madre, ma anche a verificare se la volontà dell’anonimato perdura anche nel presente.