Autorizzazione al soggiorno ex art.31, 3°comma, TU

28 dic 2016
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Una disposizione a tutela dei minori è quella prevista dall’art.31, 3° comma, del Testo Unico sull’immigrazione. La norma prevede che il Tribunale per i Minorenni possa autorizzare l’ingresso o la permanenza in Italia del familiare del minore per “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore”. In deroga, dunque, alle norme che regolano l’immigrazione in Italia.

Il minore deve trovarsi in Italia, anche in modo irregolare; i destinatari del provvedimento sono i familiari, la cui presenza acconto al minore sia necessaria o utile; per familiari non si intendono solo i genitori, ma anche i fratelli, gli zii, i nonni, i cugini e anche i cd genitori di fatto (compagno o coniuge del genitore); il provvedimento è temporaneo (generalmente due anni, rinnovabile in situazioni meritevoli) e mai acquisibile come autorizzazione consolidata al soggiorno.

I principali contrasti nascono in merito all’interpretazione di “gravi motivi”, che, lasciando un margine di elasticità ed aderenza al caso concreto al giudice, pone un contrasto tra il superiore interesse del minore (tutelato a livello internazionale) e le esigenze di ordine pubblico. Il giudizio di merito deve, dunque, operare un bilanciamento tra le regole dei flussi migratori, i diritti del minore a non essere espulso e di essere assistito in Italia dal familiare e il diritto all’unità familiare.

Mentre appare pacifico che l’autorizzazione venga concessa in caso di gravi condizioni di salute del minore, assai più complessa risulta la concessione nei casi in cui, non essendoci pregiudizi fisici, si tratta di valutare quanto la mancanza dei familiari possa incidere sullo sviluppo psicofisico del minore. Recentemente, dunque, la Cassazione ha previsto che non sia richiesta “necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti e eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complesso equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto” (tra le ultime Cass. civile, sez. VI, 13848/2014), specificando che non deve trattarsi di situazioni di lunga o indeterminabile durata e che gli eventi traumatici trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello del familiare.

Con la procedura, che segue le forme di volontaria giurisdizione ex art. 737 cpc e ss, il giudice minorile è chiamato ad un’indagine individualizzata del caso, per la quale non possono mancare l’ascolto dei familiari e dei minori e l’indagine dei Servizi Sociali. Il provvedimento è reclamabile in Corte d’Appello.

Alla decisione di autorizzazione deve seguire la procedura del rilascio del permesso di soggiorno da parte della Questura, che è un mero atto dovuto.

Inizialmente, tale permesso non permetteva di lavorare e questo è stato ampliamente criticato: l’assistenza morale non può prescindere dall’assistenza materiale, garantita ovviamente dall’attività lavorativa del genitore. Ora il permesso di soggiorno consente, dunque, di lavorare ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro.